Thomas Vinterberg lo ricordano in molti per uno dei film più potenti del movimento Dogma 95, quel “Festen” che, pur attenendosi al restrittivo decalogo fissato da Lars Von Trier e dallo stesso Vintenberg riuscì a emozionare spettatori e critici fino al punto di vincere il Premio della Giuria a Cannes nel 1998. O anche per il più recente “Il sospetto”, anch’esso premiatissimo.
Tutti film che parlano di argomenti forti e coinvolgenti, che vanno dritti al cuore. Come questo “La comune”, un film che qualcuno ha già definito come “una delicata dichiarazione d’amore per una generazione di idealisti e sognatori”.
Quei sognatori che negli anni ’70 hanno provato a cambiare il mondo, o almeno se stessi, rivoluzionando il proprio privato per mettere in discussione anche la dimensione pubblica e politica.
Perché questo è quello che succede nel film, un film in cui – a differenza di quanto abbiamo visto più spesso accadere qui da noi in Italia dove in quegli anni era piuttosto la politica a determinare le scelte individuali, esistenziali ed affettive della nostra “meglio gioventù” – si parte da un’esigenza privata, personale, emotiva, per mettere in discussione l’esistente, la famiglia e l’intero insieme dei rapporti umani.
E lo si fa apparentemente indifferenti al fatto che queste scelte e questi comportamenti possano divenire rivoluzionari per l’intera società. Lo si fa semplicemente perché si avverte lo spirito dei tempi, quello che porta il desiderio di sperimentare, scoprire, conoscere.
E non sarà un percorso facile, nel film, come non lo è stato nella vita di molti di quelli cresciuti in quegli anni. Illusioni, delusioni, lacrime e rabbia, desideri e speranze. C’è tutto questo nel film, insieme ai sorrisi dei protagonisti che abbiamo scelto di mettere nel manifesto.
Buona visione, al cinema dal 31 marzo.