Il Festival di Venezia si è concluso, e anche le solite discussioni e polemiche sulle scelte della giuria si sono placate. Ogni festival sarebbe potuto finire diversamente, lo sappiamo, ma – appunto – la storia non si cambia.
Quel che è certo è che Valeria Golino ha conquistato il favore della giuria e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile. Vederla salire sul palco a raccontare le sue emozioni in modo così diretto mi ha fatto pensare al film con cui nel 2013 ha esordito come regista, Miele. Una storia di emozioni forti, dirette, penetranti.
Un lavoro non dei più semplici, come capita spesso quando un film tratta argomenti così poco “spendibili” come la malattia, la sofferenza, la morte. Il terrore di qualsiasi distributore, per dirla tutta.
E questa era la sfida, rendere – con una sola immagine – la forte componente emotiva del film evitando di dare l’idea di un racconto angosciante o cupo. Quindi, drammaticità senza cupezza. Abbiamo provato a lungo, in Internozero, con diverse immagini, tutte comunque centrate sul personaggio di “Miele”, una Jasmine Trinca dal volto angelico e crudo allo stesso tempo. Per arrivare poi a decidere di ritrarla sospesa fra due mondi, nel più classico dei non-luoghi, un aeroporto in cui la vita degli altri le passa accanto senza che lei sembri in grado di interagire, di partecipare, di appartenere. Di sentire.
Ma c’erano ovviamente altri modi di rappresentare questa sensazione, questo isolamento. Chissà se più efficaci. A me ne sono rimasti impressi due, fra quelli che ho realizzato e che abbiamo proposto insieme ad altri alla regista e alla distribuzione. E ora provo a vederli così, uno accanto all’altro.