“Il vero contenuto di un quadro non è ciò che rappresenta, ma l’emozione che comunica” Lo scrive Melania G. Mazzucco nel suo “Il museo del mondo”, edito da Einaudi lo scorso anno. Lo scrive a proposito di Kandinskij, del suo passaggio dal figurativo all’astratto. Non è importante, quindi, capire ed analizzare ciò che vediamo in un opera d’arte per sapere esattamente cosa volesse dire l’autore, cosa fosse nella sua mente, cosa volesse così urgentemente comunicarci. O meglio, lo è, ma lo è per chi dell’arte vuole fare campo di studi, per gli storici, i critici.
Per tutti gli altri, per gli spettatori comuni, quello che conta innanzitutto è ciò che loro ci vedono, anzi, ciò che loro ci sentono. Perché l’arte, se è arte, conosce poche mediazioni, l’arte si fa sentire direttamente nella sfera emotiva, comunica emozioni o a volte semplicemente le risveglia.
Non necessariamente quindi l’emozione passa intonsa dall’artista allo spettatore, spesso anzi – e qui è il bello, il mistero dell’arte – le emozioni sono tante quanto gli occhi di chi guarda e il quadro non ha fatto altro che creare una superficie dalla quale queste emozioni potessero emergere e farsi conoscere.
Ma io la direi, questa cosa delle emozioni che sono “il” messaggio, anche a proposito dell’arte minore di fare poster cinematografici, quella che ogni giorno modestamente cerchiamo di fare da molti anni. E di fatto l’ho detto, molte e molte volte, anzi ogni volta che qualcuno mi ha chiesto quale funzione avesse il poster cinematografico, quale il suo valore ieri e quale oggi.
Perché nel settore lo si chiede continuamente, in che modo un manifesto contribuisce alle fortune (o sfortune) di un film, qual è il suo specifico, la sua funzione. E questa funzione è ovviamente cambiata negli anni, da quando il manifesto era il punto centrale della comunicazione, quando trailer e spot tv erano ancora di là da venire per arrivare ad un oggi in cui la comunicazione è parcellizzata tra web, tv, trailer, radio, campagne affissioni, digital pr e molto altro ancora.
Ma un aspetto non è cambiato affatto, ed è proprio quello di cui stiamo parlando. Il poster, sia quando è il primo impatto che si ha con un film in uscita, sia quando lo si incrocia sul web o in sala dopo aver visto già trailer, pillole e anticipazioni varie, ti dice una cosa netta e chiara: tu ti sentirai così, guardando questo film, proverai proprio questa stessa emozione che la vista del poster, anche se in forma labile e fuggevole, ti sta dando. Il poster, quindi, è un promemoria emozionale, è la parolina magica che nutre le aspettative emotive o le rievoca a posteriori in un a sorta di effetto madeleine.
O almeno dovrebbe. A meno che non si perda nel desiderio di dire troppo del film, di descrivere invece di evocare, di raccontare invece di suggerire.